martedì 18 dicembre 2012

Le regole della guerra - (carte estratte: 10 11 7 - tiraggio di Jacopo L.)



Era l'orso che gli aveva strappato via le mani, le teneva strette tra le fauci, ritto in piedi mentre lui ormai quasi privo di sensi, faceva fatica a riconoscerne la sagoma.
Oltre al suo sangue, se ne andava via anche il giorno.
- Stai tornando alla tua grotta?
Fu il suo ultimo pensiero prima di perdere i sensi, e in quella grotta anche lui sarebbe andato per riprendersi le mani.

Tornare da una guerra non è mai come ce lo si aspetta, e Matugenus lo imparò presto sulla propria pelle.
Nessun guerriero era mai stato alla sua altezza, poiché tale era la destrezza che aveva nel polso, da far sembrare ogni arma la naturale estensione della sua gloria.
Spada, arco, mazza chiodata o lancia, si protendeva dal suo corpo per finire in quello dell'avversario, aprendosi la strada tra le carni verso il cuore del nemico.
Matugenus ora non aveva più le mani, e non perché le avesse perse in battaglia - quella a dire il vero non sarebbe stata una macchia troppo scura sul proprio orgoglio - ma perché un orso gliele aveva strappate via senza ragione.
Sulla via del ritorno da una guerra, un eroe può risvegliarsi barzelletta.

Non c'è onore se non si muore in battaglia, se non si è feriti da un'arma o se non è un nemico a strapparti via le carni, lo sapevano bene persino i bambini, che dopo "quell'incidente" non lesinavano sul donare a Matugenus una buona dose di pernacchie quotidiane.
Quello che una volta era un guerriero, ora si ritrovava a partire per riprendersi ciò che era suo di diritto, quelle mani che lo avrebbero fatto tornare unico tra gli unici.

L'inverno era spietato ed avanzando nella tormenta, Matugenus tenne ben salda l'idea che quello fosse un punto a suo vantaggio, avrebbe percorso quelle terre cercando in ogni grotta, staccando la testa ad ogni orso finché non avrebbe ritrovato ciò che gli era stato portato via senza onore.
Non avendo più le mani, cavalcò per miglia tenendo le redini strette tra i denti, scavando così sul suo volto un ghigno che spaventava tutti gli animali del bosco.
La voce si sparse tra le bestie quando i primi orsi caddero nel sonno. Le loro carni vennero strappate a morsi, i crani sfondati dagli stivali, scuoiati e smembrati, lasciati a pezzi senza possibilità di venir fuori dal torpore del letargo.
Matugenus ad ogni caverna, si portò via qualche pezzo d'orso, legandoselo addosso, usando i piedi dove non riusciva a fare un nodo con le dita; tutti avrebbero dovuto temerlo, così come era stato tra gli uomini.
Le regole della guerra ora si sarebbero estese al regno animale.
Con le pelli si fece pellicce, con le zanne pugnali che usava per ferire, le ossa frantumate potevano forare, facendo sperimentare nuovi dolori a chi lo aveva privato del suo onore.
Il guerriero passò un intero inverno a portare in ogni antro il terrore, finché non giunse a primavera, dall'orso che con altrettanta violenza gli aveva strappato le carni.

Matugenus sapeva bene che quella sarebbe stata la sfida più difficile da portare a termine, quell'orso ormai era sveglio, pronto a ricambiare tutta quella violenza con altrettanta.
Il guerriero era consapevole che il dolore che aveva fatto conoscere agli altri orsi, lo avrebbe reso un avversario ancora più detestato da quest'ultimo, aveva di nuovo la possibilità di vincere con onore, stando di fronte ad un nemico che ora finalmente lo odiava.

- Cosa vuoi da me uomo?
Gli disse l'orso appena Matugenus scese da cavallo.
- Sono venuto qui per riprendermi ciò che è mio.
Dalle pellicce alzò i moncherini che tese verso il possente nemico che aveva di fronte, ai suoi avambracci lacci in pelle ben stretti borchiati da zanne d'orso.
- Rivoglio indietro le mie mani!
L'orso scoppiò in una grossa risata, fino a ruzzolare per terra.
La rabbia si impadronì di Matugenus, pronto a riprendersi con ogni mezzo ciò che gli apparteneva.
- Allora hai proprio sbagliato tutto uomo! Le mani non le devi chiedere ad un orso, ma ad un altro essere umano.
Matugenus rimase senza fiato, l'orso continuò a spiegare.
- Hai ucciso molti miei fratelli, ma quello che hai ottenuto sono pelli, zanne e ossa. Puoi uccidermi se vuoi, ma anche in me troverai solo questo: purtroppo niente mani.
E dicendo così alzò le zampe anteriori per farle vedere bene a Matugenus.
- Se vuoi riprenderti quello che pensi sia tuo, uccidi un altro uomo, su quello di sicuro le potrai trovare.

Così a Matugenus fu chiaro, che le mani non gliele aveva portate via l'orso, ma le sciocche regole degli esseri umani.

venerdì 7 dicembre 2012

La moneta sulla fronte - (carte estratte: 8 1 14 - tiraggio di Francesca L.)



Nessuno aveva scampo di fronte al giudice.
L'uomo aveva escogitato uno stratagemma per poter condannare con assoluta certezza ogni colpevole, in aula seduto in alto sul suo seggio, portava appoggiata alla fronte una moneta d'oro.
Potrà sembrarvi ridicolo, ma di sicuro non lo era per nessuno degli accusati, che ad ogni Toc! del martelletto, finivano dietro alle sbarre, chi per furto, omicidio, poco rispetto o solo desiderio.
La moneta sulla fronte del giudice era il suo terzo occhio, quello che riusciva a vedere più a fondo degli altri due.
Nessun imputato era in grado di distogliere lo sguardo dalla moneta, da quando entravano in aula quel disco d'oro catturava la loro attenzione; gli occhi fissi sulla fronte del giudice diventavano un'ammissione di colpa, per lui chi desiderava l'oro era capace di qualsiasi crimine.
Ad ogni sguardo insistito, un colpo di martello assicurava l'imputato alla giustizia.
Quanti colpevoli si erano avvicendati di fronte al terzo occhio del giudice.
Poi un giorno in tribunale, ci venne portato un macellaio fiero dei propri crimini.
Questi, sfacciato con le scarpe ancora grondanti sangue, si era macchiato di orribili crudeltà, scuoiando, sfilettando e disossando tutti coloro i quali avevano osato posare con troppa insistenza gli occhi su Angelica, sua moglie.
Lei era bella, gli altri tutti morti.
Ogni passo del macellaio verso il banco degli imputati, era accompagnato dal suono molle di quelle calzature inzuppate, il sangue formava piccole pozze come se l'uomo avesse ai piedi spugne; la carne era il suo cammino.
Il macellaio si fermò di fronte al giudice, che dall'alto banco colse con la base dell'occhio il rosso che si espandeva. Piegò lo sguardo attratto da quelle pozze, cercando però di non piegare la testa per non ammettere la propria eccitazione.
Era troppo in alto sul suo seggio per riuscire a vedere davvero le scarpe dell'accusato, così mentre quello cominciò a fissare la moneta d'oro, il magistrato si mise a fissarne le calzature cedendo all'inclinare la propria testa, in quel momento furono in equilibrio.
La moneta perse la presa e cadde dalla fronte del giudice colpendo il banco con un sonoro Toc!
Non fu così il martelletto a sancire la condanna, ma la moneta.
Il macellaio fu dichiarato innocente e il giudice perse il proprio mestiere.