sabato 28 luglio 2012

Il pagliaccio che non c'era - (carte estratte: 10 12 0 - tiraggio di Nicoletta C.)



Per ogni trapezista, pieno e vuoto fanno la differenza, soprattutto in un numero di abilità senza rete.
Firmino morì per questo, e mentre il suo sangue si confondeva con la terra rossa della pista, poco più in alto sulla pedana di lancio, il pagliaccio guardava suo fratello verso il basso.
Non sapeva che anche lui sarebbe morto quella stessa notte.
Nerina invece, avrebbe fatto sparire il circo due giorni dopo.


I

IL FUNERALE

La morte al circo, risulta più curiosa che nella vita degli altri esseri umani, per la forma bizzarra delle bare.
Immaginate cosa voglia dire seppellire l'uomo più alto del mondo, la donna barbuta con tutti quei chili di troppo, un nano o le gemelle siamesi. Un abile beccamorto non può esimersi dal venire incontro alle esigenze più insolite, ma fortunatamente questo funerale sembrava essere molto più usuale nella forma.
Due bare regolari, affiancate con poco spazio vuoto tra l'una e l'altra, e se non fosse stato per le persone intorno, nessuno avrebbe notato la differenza tra un normale funerale e questo.

Non era morto l'uomo più alto del mondo o le gemelle siamesi che si scorgevano tra gli altri, tutti vestiti di nero e con le lacrime agli occhi; non era morto il nano, che non lo si scorgeva proprio, non era morta la domatrice di leoni, né tantomeno l'uomo lupo, né il direttore.
Erano morti Firmino il trapezista e suo fratello il pagliaccio: alti normali, leggeri quel tanto che bastava per poter volare, giovani e forti.
Un altra cosa che dovete sapere, è che al circo il funerale lo si lascia celebrare al direttore, poiché non serve un parroco che mostri la giusta direzione per andare in cielo, a chi ha passato un'intera vita a volare.

- Poche sono le parole che vorrei spendere in questa occasione. - disse il direttore. - Firmino era amato da tutti, e seppur nel suo nome portasse il seme della pietra che non la si smuove, egli ha saputo levarci i cuori con la sua maestria. Non doveva finire così.

Poi prosegui.
- Firmino è morto per colpa di un pagliaccio traditore, che pare una bestemmia ricordar che fosse il suo amato fratello.

Si, perché dovete sapere che sull'altro trapezio a raccoglier Firmino, il pagliaccio questa volta non c'era, lasciando per un'ultima volta il vuoto sotto alle mani del fratello.
Sembrava tutto tranquillo fino a quel momento, poi quando il pagliaccio doveva saltare sul secondo trapezio per reggere il fratello, qualcosa andò come nessuno avrebbe mai potuto immaginare.
Il pagliaccio rimase immobile sulla sua piattaforma, condannando a morte il fratello.
Per ogni trapezista, pieno e vuoto fanno la differenza, soprattutto in un numero di abilità senza rete.

- Da oggi non ci saranno più pagliacci nel nostro circo, perché non avremo più bisogno di ridere, e perché Firmino non sia dimenticato.

Tutti i mestieranti della compagnia si strinsero tra loro intorno a quelle parole, spalla a spalla come a voler chiudere tutti i vuoti, per fare in modo che non ci fosse aria tra di loro che li potesse far cadere nel dolore.
Ma scostando la testa dalla bara del pagliaccio, mentre posava un fiore sul legno di Firmino, Nerina vide in opposta direzione, che per un attimo, un attimo solo, tra il nano e la domatrice di leoni si era creato un vuoto, largo abbastanza da poterci far stare un uomo ritto in piedi.


II

IL PAGLIACCIO CHE NON C'ERA

Nerina nel suo carro, ripose il coltello tra gli altri normali, dopo averlo pulito dal sangue del pagliaccio: quanto lo aveva amato.
Poi si mise il costume: le prove per lo spettacolo della sera stavano per cominciare. Si affrettò non prestando particolare attenzione al modo di intrecciarsi i capelli, ed uscì per raggiungere il grande tendone

- Questo è il luogo di tutte le meraviglie, tenuto insieme da corde, pali e cuciture, un'opera così ingegnosa da esser essa stessa la più grande attrazione. Eppure nessuno se la ricorda, perché pochi la sanno guardare davvero. Quando il circo non è in città, tutti si ricordano solo di me: il pagliaccio.

Nerina lo guardava ammirata, lo amava tantissimo anche se era la sposa di Firmino, il fratello del pagliaccio.

- In ogni città questa tenda la montiamo e smontiamo. Dove non c'era nulla, ora c'è qualcosa e dove prima c'era, poi non c'è più. E' questa la meraviglia del circo. Anche tu per esempio Nerina, non ci sarebbe meraviglia nel vederti se prima non ci fosse la stessa meraviglia nel non vederti.

Nerina scacciò via questo ricordo, non ne aveva bisogno, soprattutto adesso che stava per cominciare la prova del suo numero: il contorsionismo nella scatola.
Al centro della pista c'era una scatola così piccola che nessuno avrebbe mai detto che dentro poteva raggomitolarcisi un'intera persona, ma prima una gamba, poi l'altra, passando per tutto il resto del corpo sino a far sparire la mano che si portava dietro il coperchio, Nerina sosteneva ogni sera il contrario.
Dentro alla scatola non si poteva respirare, i polmoni compressi sino allo sfinimento, stretti nella morsa della gabbia toracica non rendevano possibile un solo fiato, e tutto quel silenzio prima di tornare fuori era così vuoto per Nerina che la faceva sentire bene, le sembrava di volare in un non luogo senza confini.
Ma appena riemergeva, il boato della folla piena di meraviglia, la accoglieva come aria fresca, e i polmoni si rilassavano.
Alle prove però, quel boato non c'era.
Poco più in là, dove la tenda era tenuta aperta da un nodo, entrò il pagliaccio che non c'era, che sfruttando quel vuoto venne a chiedere di poter lavorare nel circo.


III

27 SEDIE

Il pagliaccio che non c'era, si era preparato bene per quell'occasione: vestito di tutto punto, come vuole il mestiere, si era portato da dove veniva, la sua valigina con gli attrezzi per fare i suoi numeri.
Quando vide risalire dalla scatola Nerina, rimase folgorato dalla sua bellezza, ma essendo un pagliaccio inciampò almeno sei volte prima di poter arrivare fin dove era posizionata la scatola, e a quel punto ormai era troppo tardi, la ragazza era già andata via.

Rimase lì per qualche istante. Non era venuto al circo per perdere tempo in questo modo, quindi si ricompose, prese la sua valigina e andò nel vuoto davanti al direttore, per fargli vedere di cosa fosse capace.
Prese tre palline che non c'erano e cominciò a farle roteare, proprio davanti al naso dell'uomo, che non sembrava prestargli troppa attenzione.
Il pagliaccio che non c'era, interpretò questa reazione come il massimo dello stupore. Eh si! probabilmente quell'uomo era rimasto davvero senza fiato vedendo la maestria con cui faceva volare quelle tre palline e ad ogni giro che ne perdeva una a terra, si abbassava per recuperarla, iniziando ogni volta il suo numero da capo.

Lo so che è difficile, ma provate ad immaginare il pagliaccio che non c'era.
Potrei dirvi che aveva i capelli a punta, le scarpe larghe, il trucco spesso in viso, ma non lo so, perché non c'era.
Il pagliaccio che non c'era si muoveva nei vuoti, in ogni luogo in cui tu ti aspetteresti di vedere in un circo un pagliaccio, ma dalla morte di Firmino in quel luogo di pagliaccio non ce n'era. Così aveva pensato che potesse essere per lui un'ottima opportunità di lavoro.
Per un pagliaccio che non c'era, trovare lavoro in un circo dove i pagliacci ci sono, era davvero un dramma, perché non vi trovava vuoti da riempire.
Ma la grande idea gli era venuta il giorno del funerale, quando il direttore aveva detto che lì di pagliacci non ce ne sarebbero mai più stati: era perfetto!
L'unica ad aver visto quel giorno il vuoto tra il nano e la domatrice, era stata Nerina, che lo aveva emozionato così tanto che lui aveva fatto un passo indietro per timidezza, e in quell'istante il vuoto si era colmato lasciandolo in disparte.

Comunque, il direttore di fronte al numero del pagliaccio che non c'era, non espresse alcun giudizio, non disse un bel niente perché non lo vide mai, e anzi se ne andò via lasciando un bel po' di spazio a quello: allora era stato assunto! avrebbe cominciato ad esibirsi la sera stessa!

Quando non ci fu più nessuno sotto al tendone, perché le prove erano finite, il pagliaccio che non c'era si sentì a casa. Che spettacolo! intorno a lui tutto quel vuoto da riempire con la sua non presenza.
Una campanella annunciava a tutti che il cuoco del circo era pronto a servire la cena, bisognava essere in forze per affrontare la serata, così il pagliaccio che non c'era usci in tutta fretta dalla tenda aperta e si diresse nel cortile sul retro, dove tra tutti i carri in cerchio, si era imbandita la grande tavolata.

Fortunatamente avevano pensato a lui, anche se erano tutti già seduti pronti a mangiare, gli avevano lasciato una sedia vuota: quella di Firmino, che tanto ormai non ne aveva più bisogno.
Quella sera c'erano ventisei sedie tutte intorno alla tavola imbandita, anche se fino al giorno prima erano state ventisette: a quella del pagliaccio assassino era stato dato fuoco.


IV

IL TRAPEZISTA

Quella sera c'era grande fermento tra il pubblico, perché dopo la morte di Firmino, la gente si chiedeva se ci sarebbe stato comunque il numero del trapezio.
Sembrava che non si aspettasse altro, tanto che anche ai numeri più incredibili la gente rispondeva con scarso entusiasmo.
Il pagliaccio che non c'era aspettava con ansia che arrivasse il suo momento, continuava a provare e riprovare negli spazi vuoti dietro alle quinte, a far volare le 3 palline con maestria e grazia, ma quelle continuavano a scappargli di mano una per volta: che inetto.
La piccola scatola era posizionata al centro della pista e Nerina si avvicinò. Calò il silenzio.
- Quella era l'amante del pagliaccio…
Una voce appena percebile.

Nerina aprì la scatola e vi infilò un piede, poi il secondo
- Quel maledetto ha lasciato cadere il fratello per lei…

Incrociò le gambe, e cominciò a scendere verso il nero della scatola, sparendo pian piano nel nulla.
- Firmino l'amava…

Poi il coperchio si chiuse e lei trattenne il fiato.

Il pagliaccio che non c'era, perse contemporaneamente tutte e 3 le sue palline, mentre guardava Nerina che non c'era più, era sparita nel vuoto della scatola, ed era bellissima.
Dentro nessun suono, nessun respiro e nessuno spazio, compressa nel niente, il pagliaccio che non c'era capì che era il suo momento e raggiunto il centro della pista, cominciò il suo numero con le tre palline.
Se lei gli era affianco, lui non poteva sbagliare.
Un, due, tre, perse la prima, ma la recuperò prima che cadesse a terra.
Un, due, una seconda.

- Non riemerge…

Andò avanti, un, due, tre, quattro… inciampò ma non cadde.

- Nessun respiro, nessun rumore, nessuno spazio…
- Non riemerge…

Poi la scatola si riaprì, dentro era nera, sembrava vuota e il pagliaccio la guardò, finché lei non riemerse e la folla scoppiò nel più fragoroso applauso di sempre.
Al pagliaccio che non c'è, caddero proprio all'ultimo giro tutte e tre le sue palline, e mentre lui si inchinò per riprenderle, Nerina si inchinò per accogliere l'applauso.
Rimasero in quella posizione speculare per un attimo.

Poi la gente stupita, guardò verso l'alto, perché era iniziato il numero del trapezio.


V

E' ORA DI TAGLIARE LA CORDA

Lassù, appeso al trapezio vi era il nano, che aveva preso il posto di Firmino nel momento stesso in cui la terra aveva ricoperto la bara del trapezista.
La bara era stata calata con le corde avanzate dal telone, che erano spesse e robusto, tanto da poter sorreggere tutto il peso di quell'addio.
L'altra, quella che nessuno osava neanche nominare, era stata invece fatta cascare nella fossa, come a volersi vendicare fuori tempo.
Ci sono alcune ferite che esistono ancora prima che la lama vi affondi dentro, sono le ferite a custodia.

Il pagliaccio ne aveva una, proprio tra la quarta e la quinta costola, all'altezza del cuore.
Nessun dubbio che fosse una ferita a custodia.
Si accorse di averla il pomeriggio prima della morte di Firmino, mentre dalla cima della collina, si era fermato con Nerina a guardare il tendone del circo.
Anche se sapeva di essere il pagliaccio, a volte avrebbe voluto essere il tendone, non essere così popolare tra la gente, potendosi permettere di esserci o non esserci, sperando a volte di non dover essere così importante.

- Un pagliaccio è sempre al centro dell'attenzione, un pagliaccio non può permettersi di non esserci.
Nerina a volte trovava certi suoi discorsi un po' sciocchi, ma anche lei era un po' sciocca, del resto si era innamorata del fratello di Firmino.

- E se io non ci fossi più? - Gli disse Nerina. - Non staresti male?
Il pagliaccio non rispose, fece solo un mezzo sorriso.
- Se tu non ci fossi più… forse dovrei trovare il coraggio di tagliare la corda per averti tutta per me.

A Nerina non fu chiaro cosa volesse dire il pagliaccio, poi i due cominciarono a ridiscendere la collina, c'erano le prove al trapezio.
Firmino stava controllando le corde.


VI

TUTTO QUELLO CHE SAPEVO, ORA NON LO SO PIU', OVVERO L'IMPORTANZA DEL VUOTO

Il nano, si stava dimostrando un funambolo virtuoso, tutti lo seguivano con stupore: come poteva un uomo così piccolo riuscire a fare salti tanto ampi?
Come se l'altezza fosse una questione importante, ma a ben vedere è il tempo il vero segreto di un trapezista.
Sapere dove è l'altro trapezio, conoscere ciò che è pieno e ciò che è vuoto in un certo lasso di tempo, può salvargli la vita.
Il pagliaccio che non c'era, ancora con l'amaro in bocca per non essere riuscito a completare il suo numero con le tre palline, era affascinato da quei movimenti, ma da lì a poco ad attrarre la sua attenzione fu la pedana di lancio opposta: era vuota.

Forse era quello il suo momento, del resto la situazione era chiara, da un lato c'era un trapezista che non lo era affatto e dalla parte opposta un trapezio vuoto.

Raggiunse così in tutta fretta la pedana, e quando il trapezio vuoto fu di ritorno vi saltò sopra aggrappandosi alla bell'e meglio.
I due erano l'uno di fronte all'altro, ad ogni andata e ritorno, ad ogni movimento sempre più sfasati, perché il tempo che non è materiale sentiva il vuoto del pagliaccio che non vi era appeso, e ad ogni oscillazione la distanza tra i due impercettibilmente si allungava.
Poi il salto.

Il nano volò verso il trapezio vuoto, che ormai era troppo distante per la sua minima altezza.

E per un attimo, ma solo per un attimo, Nerina come il giorno del funerale, vide quello spazio vuoto tra il nano e il trapezio, uno spazio giusto per poterci far stare una persona in piedi.

- Non ce la fa!
Gridò la folla, ma il pagliaccio che non c'era, con uno sforzo enorme afferrò il nano per le mani.

- Non lasciarmi cadere, sotto di me c'è solo il vuoto.
Gli disse il nano.

Da sotto la gente si alzò in piedi ed esplose in un fragoroso applauso, e cominciarono a cantare, a battere i piedi, mentre il nano oscillava nel vuoto con le mani a un metro e mezzo dal trapezio.

Poi qualcosa cadde e colpì il suolo.
Le tre palline del pagliaccio erano scivolate ancora una volta a terra.
Neanche questa volta aveva completato il numero.

- Firmino mi manchi.
Nerina si inginocchiò e sentì in sé tutto il vuoto, non era bastato riempire una ferita a custodia per sentirsi meglio.


EPILOGO

- Pagliaccio che non ci sei… sei proprio negato!
Si disse tra sé e sé il pagliaccio che non c'era, mentre faceva i bagagli per andarsene via.
- Doveva essere la tua grande serata! Dovevi strabiliare il pubblico e invece niente… Gli applausi non son mai stati per te, ma per tutti gli altri.
Chiuse la valigina dopo averci infilato dentro le tre palline.
- Non sei neanche riuscito a conquistare Nerina.

Che strano è il senso di vuoto che può provare un pagliaccio che non c'è.

Poi andò via.
Voltandosi un'ultima volta in direzione del circo.
- Ho proprio sbagliato carriera.

Nerina seguì quel vuoto che passava tra i saltimbanco, le gemelle siamesi, la domatrice, il direttore ed il nano.
Poi quando il vuoto si richiuse capì che ora il pagliaccio che non c'era, non c'era più.
Si alzò ed andò nella sua carrozza, prese tra tutti i coltelli normali quello che era stato sporco di sangue e poi tornò al tendone.
Ne guardò la struttura, le cuciture e tutte quelle corde, poi ne scelse una e la tagliò di netto.
Il tendone si afflosciò su tutti loro, proprio nel bel mezzo delle prove.

- In ogni città questa tenda la montiamo e smontiamo. Dove non c'era nulla, ora c'è qualcosa e dove prima c'era, poi non c'è più. E' questa la meraviglia del circo.

E così da sotto il tendone, trattenendo il fiato come se fosse nella scatola, Nerina regalò a tutti un circo che non c'era.

domenica 1 luglio 2012

Le domande del figlio del prete - (carte estratte: 12 5 6 - tiraggio di Giulia B.)



Gli eventi di questa storia, che altrimenti sarebbero stati molto differenti, cambiarono all'improvviso il giorno in cui il figlio del falegname fece una domanda a suo padre falegname:
- Padre ma voi amate più me, che sono il figlio del falegname o i legni su cui guadagna il pane quello stesso falegname?
La questione che posta così potrà sembrar banale, scatenò una serie di circostanze dalle quali fu difficile riuscirne ad uscire: ogni domanda esige la sua risposta, ed ogni risposta necessita la sua ricerca.
Dovendo andare ad acquistar chiodi per il suo mestiere, il falegname partì per il villaggio riservandosi di dar quella sera stessa una risposta al figlio, ed essendo scrupoloso preferì prendersi del tempo per capire se amasse di più i suoi legni che quell'unico figliolo che gli era rimasto.

Per tutto il tragitto continuò - come ognuno di noi fa con le proprie domande - a rimasticar le parole del figlio, che suonavan tanto inaspettate per un padre che non avrebbe mai voluto dover mettersi a fare paragoni, tra ciò che è il proprio futuro e ciò che quel futuro lo rendeva possibile. Poiché l'artigiano quasi tutti e troppi figli aveva perso a causa della carestia del grano, quell'ultimo che gli era rimasto lo portava come fosse un gioiello nel cuore, e sui legni ci passava il giorno per non dover far mai mancare a quello il companatico sulla tavola.
Per quanto inaspettata possa essere una domanda, la risposta nella nostra società pare sia buona cosa non darla in modo troppo affrettato, che se si dà l'idea di dar giusta importanza ad una questione, si rende ancor più nobile e vera la replica alle orecchie di chi ti ascolta.

- Ma è mai possibile, che mi si chieda se il falegname ami più il figlio del falegname, che i legni del falegname?
E quella se la ripeteva cento volte in testa con la smania di colui il quale deve andare a verificare, tanto che giunto al paese, cominciò a chieder a destra e a manca la medesima questione.
Gli rispose bene a suo modo di pensare il fabbro, mentre egli comprava i chiodi dalla moglie.
- Questione semplice da districare - cominciò l'uomo mentre batteva sull'incudine -  Come può il falegname amare più i legni del falegname, che il figlio che gli chiede se il falegname ami legni o il figlio stesso del falegname?
- E' quello che sostengo anch'io, mio buon amico, torno indietro e glie lo dico io, che come può il falegname amare i legni del falegname del figlio del falegname?
Il fabbro disse:
- Esatto! Il falegname non può amare più i legni del figlio del falegname che i proprio legni: è giusto che ogni buon cristiano ami i legni suoi - continuò il fabbro. - Per fare un caso, saresti in errore a venir qui ad amare il mio cancello, che io che son fabbro non amo i tuoi legni… e figuriamoci i legni del figlio del falegname.

Il falegname pensò che fosse una risposta sensata, poiché non aveva mai pensato neanche per un sol istante di amare il cancello del fabbro: a qual pro inoltre lo avrebbe dovuto fare?
Vagando per il paese prima di rimettersi in cammino verso casa, continuò a pensare a ciò che aveva detto il fabbro, e più pensava che non amava nessun cancello, più per contrapposizione vedeva intorno a sé quanto bello ed utile fosse stato il proprio legno nella società.
Molte di quelle case avevan dentro la sua mano: chi aveva avuto una finestra, chi una porta, chi si era fatto fare uno steccato, chi un mobile, un tavolo o le ruote del carro.
Quanti legni suoi in quel paese: quasi come fossero tanti suoi altri figli.

Benché convinto di aver trovato una buona risposta da dare al proprio figlio, vide la Rosina affacciata ad una delle finestre che egli stesso aveva messo insieme, e volle avere anche da lei un'opinione.
- Rosina! ma secondo te: è giusto che il falegname ami più i cancelli del fabbro che i legni del figlio del falegname?
E tutto questo lo faceva abbracciato alla staccionata della casa (l'amava molto la sua opera).

La Rosina, un po' stranita da quella situazione, cercò di dare una risposta al falegname, che nel mentre si strusciava di vero amore ai legni che per le vie eran sparsi.
- Falegname, la risposta alla tua domanda è presto detta, più che ferro ami il legno di cui i tuoi figli son fatti - alludendo a ciò che l'uomo in quello stesso momento abbracciava. - Dopo tutte quelle morti di carestia, non par vero neanche a te di trovarti con tanta prole.
- Grazie Rosina! Ora è tutto chiaro: il falegname ama i legni del falegname e non i cancelli del figlio del fabbro! Devo tornar subito alla mia casetta per dirlo a tutti i legni che reggono i cancelli dei fabbri. Ma prima me ne vado dal prete che mi voglio confessare. Ho pensato a cose brutte per essere padre, che a certe domande non si deve cercare una risposta, ma la si deve solo dare.
La Rosina di corsa se ne rientrò in casa, perché quello che aveva visto lo doveva subito andare a raccontare: il falegname oltre ad amare i legni con trasporto, aveva peccato tanto che gli era necessario andarsi a confessare!

Le donne cominciarono a parlare, e alla fine la verità venne a galla.
I fedeli a dirla tutta, una cosa così non la potevano accettare.
Eh si! perché quello stesso giorno, fu chiaro che il falegname peccatore andò dal prete per poterlo ricattare, e nel buio della sacrestia, di figli amati si sarebbero di sicuro ritrovati a parlare: e cosa aveva detto il falegname?
Se non sbaglio la domanda era: Ma il prete ama più il proprio figlio dei legni che reggono il cancello del figlio del fabbro, glie la farò pagare?

Per la santa misericordia! il prete nonostante i voti aveva un figlio, e tutti cominciarono davvero a mormorare, tanto che vedendo quello parlar con il falegname capirono subito come erano andate le cose: dovevano salvare il figlio del curato, rapito da quell'immorale.
Seguendo il falegname sino a casa videro che in effetti un bimbo gli venne ad aprir la porta.
- Sembra il figlio del falegname.
- Ma non eran tutti morti i figli del falegname?
- Chetati Bertrando! Facci sentire!
E zitti zitti, da lontano, si misero ad ascoltare.
- Caro bimbo nonostante non sia ancora giunta sera, ora è chiara la risposta alla domanda che mi volevi domandare: io che sono falegname non amo i cancelli del prete, che coi legni del figlio, farebbe cancelli più solidi di quelli del padre del fabbro.
- Ma allora mi ama mio padre?
- Solo il prete lo sa!
E i contadini:
- Visto che è il figlio del prete!
Gli furono addosso prima che il bimbo potesse replicare, sacco in testa con due belle bastonate e figlio del prete salvato dal rapimento.

Il curato a questo punto venne accusato di peccato mortale e immorale, ma a qualcuno venne in mente che sono in due che quel peccato lo avrebbero dovuto scontare: si accusò così la perpetua che al prete aveva svolto il servizio del dargli un figlio.
Quella in tutta questa confusione si difese sostenendo che poiché l'infante aveva ben cinque anni, all'epoca del concepimento lei non era in quei luoghi, avrebbero quindi dovuto chieder bene a quell'altra ex perpetua di confessare: la Rosina!

La corda non si fece troppo attendere, e la Rosina finì anch'ella gambe all'aria nella piazza del paese, insieme a quel prete blasfemo ed al rapitor ricattator falegname.
Giunse così la sera che eran tutti pronti ad accendere un bel fuoco sotto a quei tre polli, e me lo ricordo proprio bene, come se quell'istante si fosse congelato, che il figlio del curato in quel momento fece la domanda che non era riuscito prima a fare al padre.
- Ma cos'è che il prete sa che mio padre non può sapere?

Il fabbro disse: - Ah non lo so! Io so che amo i miei cancelli.
- E' vero! - dissero tutti
- Io amo Bertrando!
Disse la Rosina a testa in giù, e Bertrando cominciò a fare i salti di gioia.
- Io amo tutti i miei figliuoli, quelli morti per la carestia e quello vivo che fa domande strane!
Disse il falegname, ancora appeso a testa in giù.
Fu il momento del prete, che non capiva bene cosa fosse successo e perché si trovasse in quella situazione.
La piazza si guardò tra sé e sé, aspettando.
- Per l'appunto: ma cos'è che il prete sa che non può sapere?

L'uomo di Dio non disse nulla: probabilmente perché eran più le domande che in quel momento si voleva fare, che le risposte che poteva sostenere.

Slegarono tutti e tre, che mica li potevano bruciare senza una buona risposta ad una buona domanda.

La Rosina fini tra le braccia del Bertrando, il falegname tra quelle del figlio, e il prete non finì tra le braccia di nessuno, ma tra gli sguardi di coloro i quali aspettavano una risposta.
E nessuno fu messo più al rogo. Non perché fossero stati perdonati, ma la questione veniva solo rimandata al giorno in cui il curato si fosse deciso a dare una risposta convincente a chi da lui andava, per porre quella sola e singola domanda:
- Cos'è che uno sa che non può sapere?