giovedì 28 luglio 2011

L'innamorato volante - (carte estratte: 6 8 0)



Si sa che quando ci si innamora, per le farfalle che nascon nello stomaco, ci si ritrova a camminare a qualche metro dal suolo.
Guido questa cosa pareva l'avesse presa proprio in parola, e quella volta che si trovava in piazza a dichiararsi di fronte alla sua bella, scivolò via dal buco del collo della camicia manco fosse un'anguilla, ritrovandosi nudo a volar almeno quattro metri sopra le persone.
I vestiti rimasero ritti sul posto come se ancora dentro vi ci fosse stato un corpo, e Claretta che era la sua bella, si fece tutta rossa per la vergogna di trovarsi lì di fronte a quei vestiti nudi di Guido.
Al povero giovane che se ne stava in volo là sopra, non gli serviva a niente sbracciarsi per farsi notare, che tutte le persone erano così scandalizzate dai suoi vestiti privi di corpo, che non si degnavano di alzare i loro nasi in quella direzione.
- Ma guarda che sconceria! Presentarsi in questo modo in piazza! E quella povera ragazza, la vuol far morire di vergogna?
Dicevano qua e là tutti quanti.
I vestiti si guardarono intorno imbarazzati, anche perchè quella situazione non l'avevano mai vissuta da svegli; qualche volta l'avevano sognata, ma mai avrebbero pensato…
Ma dicevo, i vestiti nudi in quel modo, per la vergogna proprio lì non volevano stare, così cominciarono a scappare tutt'intorno per la piazza cercando una via d'uscita da quella situazione e il povero Guido in volo non poteva far altro che seguirli come se fosse un palloncino leggero attaccato per un filo invisibile ai suoi indumenti impudichi.
Claretta lì per lì svenne, e Guido che nudo come un verme dall'alto la vide cadere, cominciò a maledire quei vestiti zozzoni, che bellamente si erano messi in testa di crear scompiglio tra la gente.
- Ma che maleducazione!
Arrivarono le guardie e raccattati i fuggitivi, ci misero un pò a capire come infilare le manette agli abiti, che non avevano nè polsi nè mani su cui far presa.
Guido se ne stava lì a mezzaria, a dire il vero, lui avrebbe voluto tornare indietro da Claretta, ma era costretto a seguire un'altra strada perchè i vestiti finirono presto in tribunale.
Con gran sorpresa il giudice, che era una bella signora, si ritrovò davanti i vestiti di Guido e li riconobbe.
Ella qualche tempo prima aveva spasimato per quell'uomo, e di certo non aveva mai accettato di buon grado il fatto che egli pendesse per quell'altra, così si fregò le mani pronta a sfruttar quell'occasione ed esordì:
- Quale motivo vi ha spinti ad uscir di casa stamane senza un corpo? Non avete un minimo di pudore?
I vestiti non poterono replicare, perchè non avevano nè testa nè bocca, e lo stesso Guido da quattro metri sopra, si unì al coro di bestemmie della folla, che accusavan gli indumenti di aver fatto svenire un'anima pura come quella di Claretta.
Il giudice che di fatto sa come rigirar le cose, non fu clemente, e oltre ad accusare quel paio di calzoni, camicia e scarpette rosse, di atto impuro alla luce del sole, gli venne la bella idea di dire che era stato tentato omicidio:
- Perchè mettendo in mostra tutte le vostre vergogne, avete attentato al cuore della povera Claretta portandola presso alla morte.
Ma in cuor suo la donna se la rise di gusto, pensando alla rivale stesa esanime in mezzo alla piazza, tra sterco di cavallo e piedi di villani.
Anche Guido svolazzante fece un bell'applauso: giustizia era fatta!
Ma pian piano, mentre le guardie cominciarono a scortare i vestiti verso la prigione, si rese conto che anche lui era legato ad essi, e la stessa condanna l'avrebbe dovuta subire anch'egli suo malgrado.
Lui che nonostante avesse il pimpirlino di fuori e se ne stava a mezz'aria, non si sentiva volgare come quelli la sotto: loro in galera ci dovevano finire, ma lui cosa aveva fatto per meritarsi questo?
Maledette farfalle dell'amore!
Tra il clangore delle grate della cella finirono tutte le belle speranze di quei vestiti allegri, e al piano di sopra ci fini Guido, perchè quattro metri di distanza erano troppi per star nella stessa cameretta.
Guido così tutto nudo, potè poggiare nuovamente i piedi al suolo, che era freddo ma almeno lo reggeva.
Nella cella con lui c'era un pazzo che non amava assolutamente prendere il tè senza zucchero.
Guido si arrotolò una coperta tutt'intorno, perchè a star nudo a svolazzare, un pò ti viene anche freddo.
Ogni mattina, quando le guardie portavano una certa brodaglia per colazione, era dura sentire tutte le bestemmie che quel folle gridava al loro indirizzo; il povero ragazzo non era abituato a tutta quella confusione e si ranicchiava sotto le lenzuola per fare in modo che gli schiamazzi sembrassero venire da lontano.
- Nel mio tè ci voglio lo zucchero! La vita amara non fa per me!
Il pazzo andava avanti per un pò, poi si quietava dicendo
- Anche oggi lo zucchero lo devo aggiungere da me, un cucchiaino e non di più.
E tutte le mattine quella tiritera.
- Anche oggi lo zucchero lo devo aggiungere da me, un cucchiaino e non di più.
Passarono quattordici lunghi anni, e quella mattina dopo almeno 10 minuti buoni di bestemmie e grida del pazzo, Guido decise di cacciare fuori la testa dalle coperte per dirgliene quattro per la prima volta, ma quello che si trovò davanti lo lasciò senza fiato.
Nel muro della cella vi era un foro grande così tanto che ci potevano passare tranquillamente due persone una al fianco dell'altra, e il buco dava direttamente sulla strada.
Senza parole si guardò intorno e vide il pazzo con un cucchiaino in mano, che raccoglieva dal muro della calce.
Il ragazzo si alzò dal letto, passò oltre il muro e fu libero.
Mentre si allontanava dalla prigione senti per un'ultima volta il folle scriteriato in lontananza urlare:
- Anche oggi lo zucchero lo devo aggiungere da me, un cucchiaino e non di più.

Qualche anno dopo, finita la condanna, i vestiti di Guido furono lasciati liberi, e Claretta che per tutto quel tempo li aveva aspettati non credendo mai alle gravi accuse del giudice, li riabbracciò non avendo più vergogna di loro.

domenica 10 luglio 2011

La peggior storia mai scritta - (carte estratte: 10 6 2)



C'era una volta un cantastorie senza talento, che girava di piazza in piazza per recitare tutte le avventure che nascevano dalla propria penna.
Ma un giorno si convinse che le sue storie, fossero le peggiori mai raccontate.
Beh! da un simile pensiero non può che non nascerne una crisi, e seppur la cosa che lo rendeva più felice fosse raccontare dei suoi mondi, decise di non scriverne mai più.

Depresso però, continuò a girare di piazza in piazza, fermandosi ad ascoltare tutti gli altri cantastorie che trovava di gran lunga superiori a sé.
Il nostro sempre più corrotto dall'invidia, ammattiva su quale fosse il segreto per comporre una buona storia, perché pareva proprio che la sua sola passione non fosse un ingrediente abbastanza importante.
Un giorno, dopo aver subito l'ennesima sconfitta morale, per aver sentito una delle più belle storie mai raccontate, quell'inetto, decise di forarsi entrambi i timpani delle orecchie con la punta della propria penna, per non dover mai più sentire racconti così soavi; ma mentre si mise in disparte in un vicolo buoi, pronto a compier quell'estremo sacrificio in tutta solitudine, la voce di una donna alle sue spalle lo fece trasalire.
- Ma che fai amico? La penna mica parla che te l'appoggi all'orecchio!
Gli disse una donna piccina sbucata da chissà dove.
- Ah! sono un uomo fallito! uno scrittore che a dire il vero non ha mai saputo scrivere… ed ora che l'ho capito, ho deciso di non sentire mai più alcuna storia.
Quella lo guardò scoppiando a ridere.
- Tu che hai un così gran talento hai deciso di farla finita? Son bravi tutti a scriver belle storielline; ma tu potresti davvero scrivere la peggior storia mai concepita se ti ci mettessi d'impegno.

La peggior storia mai scritta? Anche se sembrava folle poteva funzionare! Per lo meno avrebbe eccelso in qualcosa quel poveretto.
Così negli anni a venire ci si mise d'impegno, cercò di creare la più stupida combinazione, sperimentò sul privar di senso i propri versi, rese gli intrecci banali, creò personaggi sciapi, eroi sopra le righe e cattivi poco intriganti.
Ma si accorse che non bastò, così cominciò ad estrarre parole a caso, mettendole in fila e scrivendole in brutta calligrafia, così da non poterne più ritrovare neanche il senso una volta rilette.
E nonostante tutto fallì miseramente, ci passo anni a fare prove blasfeme, standoci tutta la vita ad inseguire il sogno di scrivere la peggior storia mai concepita; ma purtroppo, ironia della sorte, al cantastorie e al suo pubblico, tutte quelle storie continuavano a sembrar fin troppo belle.

giovedì 7 luglio 2011

Le parole non dette - (carte estratte: 11 10 20)



Se ogni singola parola detta in un'intera vita potesse essere posta l'una sull'altra, tutte quelle linee aggrovigliate che si vedrebbero dall'alto, a colpo d'occhio ci restituirebbero l'idea di un'esistenza.
Ella era stata educata alle buone maniere e rispondeva in modo cortese a tutte le parole che le rivolgevano attenzione, e quando anche il suo pensiero fosse stato in disaccordo, trovava sempre il modo di non usar la sua lingua come fiamma.
Quando troppa era la misura che la separava dalla buona intenzione, per evitar che le parole atroci venissero perdute, le appuntava su un pezzetto di carta che poi appoggiava sulla lingua quasi fosse un'ostia.
Così facendo, quella parola che lei non gradiva appartenesse al suo linguaggio, le si andava a depositare in bocca, trasferendone l'inchiostro sulla lingua.
Tanti furono i foglietti che appoggiò in se stessa, quasi in numero pari ai giorni che fino a quel momento aveva vissuto, e parola su parola venne lasciata filtrare, sino a formare una fitta trama di inchiostro indelebile che le aveva quella lingua reso nera.
Ella che per le buone maniere era riconosciuta, dovette cominciare a parlar ponendosi la mano dinnanzi alla bocca, per evitare che quel nero di grotta umida atterrisse il suo interlocutore.
Ma ormai l'inchiostro era penetrato così a fondo tra le vene, che la lingua le andò presto in cancrena ed il dottore dovette porvi fine con un taglio netto.
Su quella lingua vi era la fitta trama di tutte le parole silenziose, che non la si poteva neanche sfiorare con lo sguardo, senza rischiare di venirne mutilato.
Poi quella punta venne sotterrata ed ogni giorno la sua padrona sulla tomba vi portava un fiore, intonando alla sua lingua, soltanto più preghiere senza parole.

mercoledì 6 luglio 2011

Salvo chi sbaglia! - (carte estratte: 13 1 0)



A scuola la maestra lo interrogava sempre, ma non poteva cavarne nulla che non fosse sbagliato.
Sbagliava le parole perchè le confondeva, così che gesso e lavagna diventavan grigiume e arrosto, e tutti giù a ridere per quel difetto che teneva sulla lingua quell'asino bambino.
I suoi genitori poveretti, avrebbero voluto sprofondare quella volta che alla messa, invece dell'ostia, dal ministro di Dio disse di aver ricevuto dei sassi scaccolati.
Il medico sostenne che a mancargli fosse l'intelletto e il bambino fu dichiarato scemo, ma quella parola senza errore e corretta veniva inoculata a lui da tutti gli altri infanti.
E lo so bene me medesimo, che a seguir i suoi discorsi, pazzo sarei uscito pur io che con le parole a vanvera ci gioco e mi diverto.
- Avrei posticipato grazie all'uso essendo avuto.
Voleva sol dir che avea mangiato tre volte al dì.
E solo soletto continuava a rimaner in fondo alla classe, che nessuno nulla volea spartir con esso: perché la lingua slogata, se diventa virale è un bel pasticcio.
Ma un giorno dalle montagne se ne scese un feroce mostro, che sgranocchiava anime per sol diletto e dopo aver masticato ben bene almeno dodici contadini, un prefetto, due signore e mezzo sindaco; giù verso la scuola si diresse.
Tutti i bambini a gridar come matti quando quell'abominio ne spezzò in quattordici pezzetti buona parte, quand'ecco che il nostro scemo gli si parò dinnanzi e cominciò il suo momento.
- Se di strisce io mi raccapezzo, nel pudor mi invento delle mele tutte; non son stato in orzo, ma nella tua mi si rincorre!
Poi proseguì puntando il dito verso il mostro.
- Di fuochi cotti si fa per dire, che legni in fila si può sapere, sempre se la lucertola non vende vino solido! Zam zam!
Che il mostro non ci capì una scarpa al cubo, ma son discorsi che ti fan pensare, così sinceri che ti toccan nel profondo e fece retromarcia senza mai più tornar indietro.
E tutto il villaggio fu in festa, anche se parecchie vite erano state masticate, ma quello scemo si prese una medaglia e fece dei corsi per insegnare a parlare male.
Che devo dire il vero, io di gonfi sandali mi ci cullo l'intelletto e il cuore.

lunedì 4 luglio 2011

I capelli dell'imperatore - (carte estratte: 18 19 4)



L'imperatore aveva così tanti capelli in testa, che se lo si vedeva da dietro potevi persino scambiarlo per un leone.
Era così fiero della sua capigliatura che gli incorniciava il viso severo, da non voler mai portare la corona; affermava addirittura che quei bei riccioli che una volta erano stati d'oro, potevano sostenere da soli tutte le pietre preziose del copricapo regale.
Era per questo che se ne andava bel bello con tutti i preziosi infilati nei capelli.
L'imperatore aveva anche un figlio, che con il peso di avere un padre così ingombrante, non poteva fare a meno di passare tutto il giorno a impomatarsi i gonfi boccoli.
Ma al ragazzo quel cespuglio, a dire il vero, non piaceva affatto, lui era portato alle armi e in cuor suo tra una pettinata e l'altra pensava alle spade, ai cavalli e agli attacchi.
Ma non voleva fare un torto al padre, che ogni volta che lo incrociava, invece di un paterno abbraccio riceveva una qualche carezza sull'ingombrante chioma.
Passò giorno dopo notte e notte dopo giorno, finchè un dì dopo il tramonto, che la luna era già alta in cielo, finalmente arrivò la guerra e il castello fu sotto assedio.
In cielo volavano frecce infuocate e dalle valli l'esercito nemico continuava a radunarsi in massa per violare le mura.
Il principe vide pronta per se l'occasione di dimostrare il proprio valore, ma quell'enorme elmo che il padre tanto si era raccomandato indossasse per non rovinare il ciuffo, non gli faceva fare un buon mestiere, che dirigeva le sue truppe in tutt'altre direzioni a dove gli sarebbe servito.
E allora adesso basta! Perché se anche avesse contravvenuto al genitore, almeno l'avrebbe fatta franca quella notte.
Con una mossa decisa fece volare via l'elmo lasciando a tutti i ricci la possibilità di svolazzare al vento, ma neanche un istante dopo quello slancio di ribellione, una freccia infuocata gli accese il capo come un cerino.
Passate poche ore, l'esercito nemico fu costretto alla resa sotto la furia del principe guerriero dalla testa di fuoco, e mentre l'invasore tornava verso valle di gran carriera, egli ormai completamente liscio in capo come la luna in cielo, non aveva altri pensieri che la delusione che avrebbe dato al padre.
Arrivò poi il giorno e il sole alto nel cielo annunciava l'inizio della cerimonia in onore dell'eroico principe .
Cosa fare per nasconder quel disastro che ora aveva in capo?
Rimuginando sulla cosa, aspettò nelle stanze dell'imperatore, dove avrebbe dovuto incontrare il padre che si voleva congratulare; quando ad un certo punto, vide nella gabbia dell'imperatore il tanto amato pappagallo d'oro.
Così in fretta e furia gli venne un'idea, acchiappò il pennuto che aveva le piume dello stesso colore dei suoi capelli e se lo legò in testa, sperando che il padre non notasse la differenza.
Si guardò allo specchio e si ritenne soddisfatto.
Ma poi pensò: "E se mio padre si accorgesse che manca il suo pennuto?"
Allora tirò fuori un cuscino dal letto dell'imperatore e lo strappò, infilando tutte le piume nella gabbia.
Solo che adesso, quando il padre fosse andato a letto non avrebbe trovato niente su cui poggiar la testa, bel problema.
Allora uscì dalla stanza col pappagallo che reggeva in testa e vide una guardia che si era appisolata appoggiata al muro del corridoio; senza farsi sentire gli sfilò uno stivale, che ripiegato mise al posto del cuscino.
Ma la guardia appena sveglia avrebbe dato l'allarme!
Il principe prese una tovaglia dal tavolo del banchetto in suo onore e ci avvolse il piede della guardia, poi sfilò dal muro del castello file di mattoni che dispose affiancate sulla tavola a mò di tovaglia, al posto dei mattoni mise dei pani di burro, allora i libri andarono nella dispensa fredda, nella libreria ci finirono delle balle di fieno, mucchi di lenzuola ripiegate andarono nei campi, le bandiere presero posto nel magazzino dei domestici, sulle aste issò i cannoni, in armeria mise le botti di vino, in cantina le ruote dei carri, e poi di qua, e poi di là, qui, su, giù, destra, sinistra…
Quando l'imperatore giunse nella sua stanza per complimentarsi con il figlio del successo ottenuto in battaglia, non trovò il giovane, ma constatò che il pappagallo stava bene, che il cuscino era morbido come sempre e che i calzari della guardia erano lucidi e comodi come al solito.
Del principe non si seppe più nulla, ma io che sono narratore onnisciente, vi posso assicurare che rimase per lunghi anni a rimpiazzar oggetti.

sabato 2 luglio 2011

Ogni cosa che si solleva - (carte estratte: 0 19 12)



Ogni cosa che si solleva, prima o poi torna in terra, e non importa con quanta forza viene lanciata in aria, lo ridico, torna in terra.
Se tagliamo i rami di un albero, quelli scendono giù, e dalle ferite sulla corteccia, la linfa come sangue trova la propria strada finchè non arriva al suolo.
E così a testa in giù, esattamente in quel modo era appeso un uomo sopra ad una voragine che pareva non avesse fondo, il giorno stesso in cui il viaggiatore giunse sulla sponda.
Il viandante aveva percorso così tanta strada da non ricordarsi neanche quando fosse partito, tanto che spesso gli veniva il dubbio di averlo mai fatto.
Certo, mica che qualcuno di voi ha così lunga memoria da ricordarsi l'attimo esatto della propria nascita.
Camminava da sempre e aveva visto talmente tanti luoghi che faccio fatica a immaginarlo stupirsi di qualcosa, ma a dir la verità credo che quell'uomo appeso avrebbe avuto modo di sbalordire anche lui.
- Cosa osservi viaggiatore?
disse l'uomo a testa in giù.
- Guardo i rami ai quali sei vincolato, osservo i tuoi capelli che si allungano verso il baratro e mi chiedo fin dove potresti arrivare se non ci fosse alcuna terra in fondo a quell'abisso.
L'appeso rivolse gli occhi all'insù, che poi per noi sarebbe all'ingiù, ma proprio la sotto non si scorgeva un appoggio.
- Camminare così a lungo ti ha dato molte più certezze di quante io ne disponga.
All'uomo appeso, una lacrima rigò il volto, ma la strada che percorse fu all'inverso, perché è vero che se noi conosciamo bene il sapore del pianto che ci raggiunge la bocca, ad egli al contrario ne era sconosciuto il gusto; perché la lacrima dopo aver fatto una curva sulla fronte ed essersi trattenuta sulla punta di un capello, si abbandonò al baratro.
Ma quella singola lacrima non cadde, rimase sospesa, in perfetto equilibrio tra la forza che riporta tutto verso il suolo e la brezza che giungeva dal profondo.
Il viaggiatore rimase stupefatto e vide che in realtà non vi era corda che cingesse la caviglia dell'uomo a testa in giù.
Poi molte altre lacrime si fecero strada sul volto dell'appeso, tutte andarono in perfetto equilibrio a disporsi in fila.
L'uomo disse al viaggiatore
- Ci sono ancora molti luoghi che non hai visitato, ti auguro buon viaggio amico mio.
Il viandante si sporse oltre il bordo del precipizio, sentì la brezza accarezzargli il volto, poi distese la gamba nel vuoto sino a trovare con il piede la lacrima a lui più vicina e vi si appoggiò; col bastone cercò la seconda, mentre l'altro piede era già di strada verso la terza che stava un pò più in su.
Quella scala di lacrime lo portò così in alto che da lassù si poteva vedere quasi tutto il mondo e mentre dal di sotto quell'uomo all'incontrario gli donava nuovi scalini, lui fece un bel respiro e poi un sorriso, perché aveva davanti a se ancor più strada di quanta non ne avesse mai percorso.